Conoscete il paguro, quell’animaletto marino con due graziose chele che, per indossare la sua mutanda di conchiglia, sfratta una lumaca di mare o un boccone e e che non appena fiuta un pericolo si ritrae nel suo guscio.
Beh ce n’era uno di discreta taglia, negli scogli bassi sotto la torre di Cala d’Oliva ed era sempre collocato nei pressi di un masso affiorante attorniato da mini spiagge trasparenti che lasciavano intravvedere tanti pomodori di mare che occhieggiavano nel punto dove lo scoglio annega nella sabbia.
Tutte le volte che mia madre acconsentiva a noi piccoli di fare il bagno, io facevo il giro partendo dalla foresteria nuova, quella dove erano stati per un mese circa, i Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le loro famiglie, e nuotando lentamente, giungevo fino alla casa di “scheggia” così avevo soprannominato il mio paguro che, sia pure all’indietro, era in grado di correre per tentare di acchiappare al volo qualche piccolo pesciolino che si attardava a brucare tra le alghe ed i radi ciuffi di posidonia.
Mi chiamo Piera ed abitavo a Cala d’Oliva, … ma no, non volevo parlarvi del mio meraviglioso mare, eh si perché quello era il mio mare, conoscevo tutti gli scogli, uno per uno e quando facevo il bagno, sorvegliata dall’occhio vigile della mamma, indossavo sempre una maschera ed un boccaglio e seguivo la vita del mare e lei, da sopra, mi indicava le tane dei polpi, insegnandomi tantissime cose che mai avrei letto su nessun libro di scuola.
I bimbi come me, o mio fratello più piccolino, erano entusiasti di vivere all’Asinara, i bimbi d’oggi direbbero che sia “una figata” perché d’estate e d’inverno, a parte le ore in cui si era costretti nei banchi di scuola, il resto della giornata trascorreva all’aperto, in mezzo alla natura, con la compagnia degli amici, pensando ogni giorno solo a nuovi giochi e a nuove attività che ci impegnavano totalmente.
Nel paesello non c’erano pericoli e poi ogni abitante aveva cura di dare un consiglio ai bambini che spensierati giocavano da mane a sera.
E quando ci stancavamo dei giochi a terra si andava tutti al porto, con fili e canne rimediate, per tentare di prendere all’amo qualche improbabile pesciolino che si faceva beffe dei nostri sforzi.
Solo la fame e la stanchezza e gli strilli delle mamme ci costringevano tornare nelle nostre case, ma dopo aver cenato uscivamo nuovamente, insieme ai genitori, che andavano a telefonare o a prendere un gelato.
La fotografia che compare nell’anteprima del pezzo è un fermo immagine ripreso nell’Osservatorio della memoria di Cala d’Oliva e individua i banchi che erano nella scuola prima che io arrivassi.
Quante macchie d’inchiostro hanno sopportato quei banchi e quanti fogli sono stati scritti su quei piani di legno, se guardiamo con attenzione sono tutti lì questi segni a ricordarci i nomi di coloro che si sono seduti sui sedili invero leggermente scomodi.
Di seguito pubblico il mio “Dettato” del 09 Ottobre 1982, sono passati trentacinque anni, tipi di elaborati che, ormai, i ragazzi d’oggi non conoscono più. Questo è incentrato su un brano “Il nido vuoto” di Carlo Alberto Pisani Dossi, scrittore milanese di metà dell’800.
La maestra Franca Silvetti, per tutti “la maestra Silvetti” era persona molto amata dagli alunni e da me personalmente, per tutti aveva una carezza gentile e quando arrivavamo a scuola impiegava non poco della sua pazienza a farci sedere nei banchi e iniziava a dettare con la voce alta, scandendo perfettamente le parole: “Sotto la gronda c’è un piccolo nido in rovina. Pare una casina senza porta……..“
Nell’aula non volava una mosca, ma le nostre fervide immaginazioni immediatamente prendevano il sopravvento fino al richiamo perentorio della Maestra Franca Fadda Silvetti: “Piera!!!!” che mi riportava nel banco.
Pensavo spesso al mio paguro Scheggia e mi chiedevo, curiosa, come facesse a cambiare la sua casa quando cresceva e non entrava più nel guscio….
La vita nel paesello di Cala d’Oliva.
E che dire delle amiche con cui trascorrevamo interi pomeriggi……. guardate cosa scrivevo a Roberta che aveva dovuto trasferirsi dall’Asinara .. lacrime e pianti a fiumi si sprecavano ed anche nella lettera che le avevo scritto ricordavo tutti i giochi che avevo fatto con lei e le ore spensierate trascorse insieme, non c’erano le emoticons, ma i cuori si sprecavano ….
Nel paesello giocavamo a nascondino tra le case bianchissime, noi pensavamo quasi che fossero fatte apposta per i giochi dei bimbi…… tanti nascondigli e corse a perdifiato senza farsi vedere e per gridare “TAaanaaaaaaa………” il mare ci osservava da lontano…. che nostalgia, nostalgia dei luoghi, delle persone, degli odori, delle atmosfere.
Le fuga del detenuto, era un evento che qualche volta accadeva e che sconvolgeva anche la nostra vita, ma non più di tanto, nel senso che vedevamo preoccupazione e tensione negli occhi degli adulti, la mamma ci diceva di non allontanarci troppo e di rientrare spesso a casa per dire dove stavamo giocando, il babbo faceva turni massacranti prima che il fuggiasco venisse ripreso.
Poi gli adulti parlavano con voce bassa cercando di non farci sentire i loro discorsi.
Noi, in quei periodi, inventavamo fughe e storie di persone fuggite e la situazione ambientale si riproponeva nei nostri passatempi scimmiottando i comportamenti degli adulti.
Giornate speciali
Potrebbe sembrare a chi non ha vissuto sull’isola che il trascorrere del tempo fosse molto lento, che ci si annoiasse, non era assolutamente così, almeno per me.
Assieme alle feste che tutti sentono, quelle canoniche del natale, della pasqua ogni tanto si festeggiavano i compleanni dei bimbi con il reperimento dei doni da portare al festeggiato o festeggiata, poi ogni anno si svolgeva a Cala d’Oliva la festa del Corpo ed era una ricorrenza molto sentita anche da noi bimbi, per il fervore con il quale si approntavano i preparativi della festa, poi ogni famiglia partecipava con i propri dolci che si preparavano e si portavano al forno a cuocere. Con l’occasione giungeva sempre qualche personalità di rilievo “da Roma” che, per noi, era un paio di mondi oltre “Punta Scorno”!!!
Si facevano le prove della cerimonia con i cavalli tirati a lucido e le guardie con le mostrine della festa!
Si trattava di Enzo Tortora!
A noi bimbi fece molto impressione ascoltare le peripezie di questa persona che, con un coraggio fuori dal comune e purtuttavia aveva proseguito diritto per la sua strada, non perdendo di vista l’obiettivo, sempre credendo nella giustizia ed era riuscito ad avere il riconoscimento della sua innocenza, pagato (poi si seppe) a caro prezzo, perché dopo solo tre anni dalla visita all’Asinara, Enzo Tortora, ci lasciò il suo saluto, e se ne andò consumato da un tumore.
La mattina del 2 dicembre 1985, dopo aver fatto visita alle strutture penitenziarie di Cala d’Oliva, Enzo Tortora venne a trovarci nella scuola accompagnato dal Direttore, e da tutte le autorità.
Era stanco Enzo Tortora, ma con la sua voce tranquilla ci disse poche parole e sopratutto ci esortò a credere sempre nella giustizia che, nel suo caso aveva sbagliato, ma che doveva essere solo riformata, non certo demolita.
Dopo il primo momento di stupore, tutti i bimbi gli furono d’appresso e lui gentilmente, come sempre, ebbe parole di affetto e firmò ad ognuno che glie lo chiese, una dedica che io conservo ancora gelosamente.
Nelle parole toccanti della sua compagna la Sig.ra Francesca Scopelliti:
“I magistrati napoletani che hanno inquisito Tortora sono stati arroganti e protervi, ma anche sfortunati: perché non poteva capitare loro un uomo più innocente.
Un uomo che non aveva mai preso una multa o pagato una bolletta con ritardo,
– mancato di rispetto al vicino di casa o al vigile.
– Un uomo che aveva un grande rispetto delle istituzioni,
– che amava la fanfara dei bersaglieri e
– l’inno dei carabinieri,
– che si inorgogliva dell’operato dei soldati nelle missioni di pace,
– che per una insaziabile curiosità si era formato una cultura come pochi e non amava essere incluso nello star system dello spettacolo.
Lui si sentiva semplicemente un giornalista della carta stampata e televisiva.
Ricordo con affetto gli occhi buoni di Enzo che sorridevano sempre nonostante le peripezie che lo avevano coinvolto e che avevano lasciato un forte segno, anche nel suo fisico.
La sua morbida voce la sento ancora oggi che mi risuona nelle orecchie, rassicurandomi.
Per tornare al tema che ha ispirato questo pezzo chiedo, prendendo spunto dalle parole della famosa musica di Vasco Rossi, se posso dire che “all’Asinara non mi sono mai annoiata un giorno“?
La maestra Franca Fadda Silvetti
In conclusione, un pensiero particolarmente caro, lo voglio rivolgere alla memoria della Maestra Silvetti, moglie del medico che una volta si chiamava “Condotto” e persona con una carica umana straordinaria.
Qualche anno prima della sua scomparsa, nel 2011, alla veneranda età di anni novanta, ha pubblicato un libro dal titolo “la mia Asinara” (ed. Carlo Delfino) in cui racconta molti aneddoti curiosi della sua carriera di ben 31 anni di insegnamento all’Asinara.
Tra l’altro, ha raccontato di aver portato in braccio il Giudice Falcone da piccolo ed ha ricordato un episodio del quale, all’epoca, non si parlò moltissimo.
Il matrimonio di Raffaele Cutolo.
La Maestra raccontò di aver promesso, ai bimbi della scuola, di condurli a vedere il matrimonio, gesto non apprezzato dalla Direzione dell’Istituto che considerava quello il matrimonio di un detenuto e non di una personalità.
La Maestra Silvetti però non poteva deludere le aspettative dei suoi ragazzi e mantenne la parola data.
Ridusse l’impatto emotivo accompagnando gli alunni, due per volta, all’interno della chiesa dove Don Giorgio Curreli stava celebrando il rito.
Poi concluse il ricordo riferendo che i bimbi furono colpiti dall’evento e sopratutto le bambine dal vestito della sposa e dai gioielli ed il giorno dopo fecero dei bei temi sul matrimonio all’Asinara di un detenuto.