Strano, ma quando si parla, o peggio, quando scrive dell’Asinara, la parola più ricorrente è “incredibile“.
Che si riferisca di ambiente, di spiagge, luoghi, suoni, elementi naturali, per non dire di animali, di storia, di persone, sensazioni, di emozioni, oppure d’immagini…… e potremmo continuare a scorrere questo elenco, a lungo, solo per dimostrare che il termine ricorre talmente tante volte che appare, anche a chi scrive, assai ridondante.
Limitando la lettura al solo titolo dell’articolo, qualcuno avrà potuto pensare del ritorno di una persona sull’isola…. forse l’occasione di una visita o altro, ma non trovate che sarebbe troppo semplice, se così fosse.
Questa volta voglio raccontarVi una storia accaduta, che ha dell’incredibile, perché alla fine del racconto, forse, potremo concordare che…
“all’Asinara qualcuno è tornato“!
No, certo, non è il ritorno di una persona.
Non è neppure un prodotto del bivalve “Pinctada margaritifera“, volgarmente detta ostrica perlifera, famosa produttrice di bianchissime perle e non ha neppure il loro colore, ma credo sia un figlio dell’isola e per questo, prezioso molto più di una perla.
Ecco di cosa si tratta.
E’ una minuscola, bellissima terracotta!
Le dimensioni reali del maufatto sono state riportate in differente lavoro https://www.isola-asinara.it/storia-di-una-terracotta/ che ha avuto esito il 12 marzo 2023.
Non lasciamoci fuorviare dal contorno grafico, da me inserito per isolare il manufatto dal contesto, prestiamo molta attenzione all’immagine della terracotta e all’ingrandimento che mi sono permesso di realizzare, per evidenziare le sue particolarità.
Si tratta di un’opera di piccole dimensioni, all’incirca 12×11 cm (la vediamo nella foto successiva, che rende evidente il rapporto dimensionale) e raffigura un viso dai tratti femminili, compreso tra le mani che lo stringono, lasciando libero l’occhio.
La mano sinistra, del soggetto rappresentato, sembra voler costituire un appoggio al viso, la destra invece è posta a coprire parzialmente il naso e completamente l’occhio destro.
Sia il viso, che le mani, sembrano uscire da un fazzoletto, o un copricapo appena abbozzato che racchiude e contorna tutta la terracotta.
Una serie di immagini, quelle di Ivan, sottolineano egregiamente la fattura di buon livello dell’oggetto, sicuramente realizzato da un artigiano molto “ispirato” e sicuramente “coinvolto” perché, a mio avviso la terracotta esprime un unico sentimento: DOLORE in modo preponderante e, in via secondaria, diffonde un senso di abbandono.
IL RITROVAMENTO
Ivan Chelo la scorsa settimana
ha effettuato, con alcuni amici, una gita sull’isola e, transitando davanti il viale in salita che conduce all’Ossario, ha scorto qualcosa di strano appoggiato al cancello di entrata del monumento.
Si è avvicinato ed è rimasto quasi senza fiato nel vedere questa piccola terracotta delicatamente appoggiata nella estremità di sinistra del cancello.
Ha esaminato con attenzione la terracotta e lo spago in cotone grezzo che, con differenti volute, l’assicurava in posizione di ritrovamento.
Ha avuto la sensazione che la collocazione del manufatto non sia stata una semplice “dimenticanza”, ma l’azione di chi non solo intendeva ricordare, ma celebrare, compiere un rito, da qui il titolo dell’articolo perché probabilmente si è trattato di un deciso ritorno …….
Ma proseguiamo nell’esame dellla terracotta e voltiamola osservandone il retro ingrandito, in cui sono evidenti diverse caratteristiche:
- la grana della terracotta
- la tecnica grossolana della preparazione dell’impasto, della sagomatura e della successiva cottura, ma non ci fermiamo certo qui; sono presenti altre particolarità che la persona che l’ha consegnata al mausoleo, forse ha voluto lasciar intravvedere;
- nella parte frontale della terracotta potrete notare, sulle nocche della mano che copre l’occhio, piccoli segni circolari prodotti dallo sfregamento della porcellana; lo si deduce dal fatto poichè appare abrasa anche la vernice apposta dopo la cottura della argilla.
La zona centrale del retro è poi leggermente raschiata quasi a voler cancellare la scritta forse impressa ab origine e vi è stata apposta, con una matita, una sigla alfanumerica che potrebbe apparentemente corrispondere alla sigla “V8 71” evidenziata nell’ingrandimento che segue (foto 5).
Ho utilizzato il termine “apparentemente” poichè nella foto è visibile che la prima lettera, come le altre, sia stata oggetto di due o tre passaggi della punta di grafite, inoltre quella lettera ha qualcosa di indecifrabile, non sembra una lettera “V“, ma appare corrispondere maggiormente alla lettera greca omega rovesciata (omega Ω) in realtà potrebbe corrispondere alla forma corsiva moderna del pi greco.
Ma lasciamo agli esperti ed a successive indagini e a ricerche storiche, la decifrazione della scritta, per riprendere e concludere il racconto dell’incredibile ritrovamento.
DUE RIGHE DI STORIA … solo per ripartire dai capi del filo conduttore.
Ricordate il doloroso periodo austro ungarico attraversato dall’Isola dell’Asinara?
La prima guerra mondiale?
Era la fine dell’anno 1915 quando decine di migliaia di prigionieri furono trasportati sull’isola, con il colera già incubato nei loro corpi squassati da una marcia disumana per raggiungere Valona e, dopo la traversata, giunti sull’isola, trascorsi i primi mesi dedicati, quasi esclusivamente, a riparare i danni prodotti dalla guerra e dalle malattie, compresa quelli del colera, i prigionieri, vennero organizzati in grandi accampamenti e furono sollecitati a lavorare perciò, chi fu in grado di farlo, ebbe l’occasione di riprendere le attività di lavoro più disparate, con tutta probabilità quelle esercitate prima dell’inizio del conflitto.
Dell’Ossario di Campo Perdu e della sua storia abbiamo trattato nell’articolo “la Stele di Stretti”.
Dalla ormai arcinota “Relazione” del Gen. Carmine Ferrari
“I lavori in terra cotta ed in cemento.
Chi osservi da vicino le rocce dell’isola, le vede brillare di lucentezza metallica, sfaldarsi in squame cristalline, colorarsi talvolta di rosso cupo, simile all’ossido di ferro. ……. omissis…. Di ricchezze del suolo immediatamente utilizzabili dai prigionieri, non vi era però che la terra argillosa degli Stretti e di Tumbarino. Essa servì a fabbricare molte terre cotte, costituenti la varietà più ricca della raccolta dei lavori. …… omissis…. Un ungherese, antico operaio in una fabbrica di ceramiche di Budapest, aveva provato a fare coll’argilla una minuscola temda da campo. Questo modello cotto in un piccolo forno, era diventato compatto e solido, ed aveva assunto un bel colore rosso ed una grana lucente.”…..
Notare la parte finale del testo sottolineata con una sottile linea gialla: “Nè poteva rinunciare alle ispirazioni della modernissima scultoria, quando modellava decorazioni di protesi volti femminei in un volo di evanescenti chiome.”
Di questi lavori (non soltanto quelli realizzati in terracotta) il Comando di Presidio dell’Esercito chiese, con nota del 15 maggio 1916, di eseguire una raccolta da inserire in un museo che al termine del conflitto avrebbe avuto una destinazione dalla citata “Commissione pei prigionieri di guerra“.
Di seguito l’immagine rettificata della raccolta dei differenti manufatti in terracotta.
Gianmaria Deriu, prontamente avvertito, ha provveduto a rimuovere la terracotta dal cancello e a custodirla all’interno del mausoleo dove, presumibilmente, chi l’ha lasciata, voleva che tornasse.
Formulo l’auspicio che chi ha riportato la terracotta nel suo luogo d’origine, possa leggere questo breve racconto e abbia la possibilità, la voglia e l’opportunità di farsi vivo con l’autore dell’articolo, o con la Direzione del Parco Nazionale dell’Asinara, per testimoniare la volontà, espressa in modo così discreto.
Credo che di questa piccola terracotta dell’Ossario si parlerà a lungo, sopratutto se il Parco vorrà eseguire indagini tendenti ad accertare, con metodo scientifico, il periodo di creazione dell’opera.
Lavori relativi ai manufatti in terracotta:
Lo studio sulla terracottaAggiornamento del 5 febbraio 2021
Mostriamo l’attuale collocazione della terracotta, posta sull’altare all’interno del mausoleo.
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