Iniziamo questo racconto con un ricordo del 1965/68. Emo ci dice che l’acqua veniva portata a Cala D’oliva con navi cisterne della Marina, esisteva una sorgente sopra la diramazione Case Bianche, ancora esiste?
Ricordo che erano stati fatti dei o bacini idrici per l’irrigazione sia a Campu Perdu che a Fornelli….
In quel periodo l’Asinara era denominata “Casa di lavoro all’aperto o Colonia Agricola e (prima che la rovinassero per la ragion di stato esistevano sull’isola delle vigne (bella la cantina di Trabuccato) e coltivazioni di ogni genere tanto da renderla autosufficiente.
L’Agronomo era Pasqualino Granata a cui dedico un pensiero ed affettuoso ricordo.
L’acqua veniva depositata in appositi vasconi (con tanto di salamandre all’interno) per poi essere portata in determinati punti dal cosiddetto “acquaiolo” un detenuto alla guida di un carro botte trainato da un mulo.
Emo Nisini 20.02.2019
Tutto corretto caro Emo,
purtroppo il tempo è tiranno e gli argomenti che mi scelgono per essere trattati nel sito cui ogni tanto accenno, non mi lasciano libero di programmare gli articoli.
Quello dell’acqua sull’isola è stato un problema gigantesco in tutte le epoche e per ogni attività umana e la sua importanza è tutt’oggi vitale per il suo futuro.
Ho già molto materiale conservato, ma penso che quando mi dedicherò al capitolo dell’acqua sarò costretto a disturbarti.
Le cisterne sono tutte presenti e qualcuna viene, ancora oggi, utilizzata per l’approvvigionamento idrico.
Anche le sorgive di cui ti allego un immagine di quella di Elighe Mannu sono facilmente rilevabili…. qualcuna interrata.
Purtroppo qualche persona di basso spessore culturale in tempi remoti ha creduto bene di manomettere le piastrelle numerate, quella che allego è una mia ricostruzione grafica (immagini in fondo alla pagina).
Esistono ancora molti manufatti, costruiti in ogni epoca, destinati alla distribuzione dell’acqua e la diffusione delle salamandre nei serbatoi era pratica diffusa. Anche “l’acquaiolo” è entrato ormai nell’immaginario collettivo dell’Asinara.
Grazie Emo per i bei ricordi di cui ci fai partecipi.
Carlo
il quadro della storia……
Bisogna sapere che l’istituzione carceraria, nel corso degli anni, ha fornito al personale in servizio attivo ed alle famiglie residenti stabilmente sull’isola, una serie di servizi che si sono sempre evoluti ed in alcuni casi, diventati non più necessari sono stati annullati.
La fornitura di acqua potabile avveniva poichè il personale e le famiglie non erano in grado di sobbarcarsi l’approvvigionamento dell’importante risorsa.
Ovviamente quando nelle abitazioni giunsero le condutture di adduzione dell’acqua il servizio cessò.
In altre parti di questo sito abbiamo già avuto modo di parlare del “servizio di bucato” ed oggi conosceremo la fornitura quotidiana d’acqua potabile, espletata a mezzo dell’acquaiolo, che era un detenuto cosiddetto sconsegnato.
Questo appellativo, che all’Asinara rimase sino alla sua chiusura definitiva, identificava il detenuto “sconsegnato” ovvero “privo di consegna”.
“Essere sconsegnati non era facile ma, in certe occasioni, non era neppure tremendamente difficile: occorreva, in qualche maniera, essere bravi nell’arte di arrangiarsi, saper sorridere nei momenti giusti, rispondere in maniera docile agli agenti e il gioco era fatto.
Si diventava sconsegnati con tutto ciò che questa definizione significava per i detenuti e per gli agenti; vivere da sconsegnati era una fetta virtuale di libertà in tasca, significava poter camminare dentro l’isola in assoluta libertà; i lavori più ambiti erano il pastore, lo stradino, l’addetto alle foresterie e l’elettricista.” (da Supercarcere Asinara – di G. Cassitta e L. Spanu)
Ad onor del vero, affermare che uno “sconsegnato” potesse “camminare dentro l’isola in assoluta libertà” è definizione che appare leggermente esagerata e che per questo non posso condividere, certo è che, nell’ambito del lavoro assegnato, la persona che era portatore di questo “status” poteva recarsi nel suo posto di lavoro ed espletarlo fino al momento in cui doveva rientrare in diramazione per essere presente alla “conta“. 1)
Un pastore di capre, come Paolo Picchedda, ad esempio usciva dalla diramazione alle cinque di mattina e trascorreva, dietro al gregge di capre, tutta la giornata.
Rientrava in diramazione alle 18,00, ma nelle condizioni di Picchedda si trovavano tutti i detenuti-pastori di pecore e di capre.
Gli agenti a cavallo di ogni Diramazione avevano il compito, tra gli altri, del controllo degli sconsegnati e periodicamente effettuavano il giro di ricognizione, rintracciandoli uno per uno.
L’acquaiolo aveva il compito giornaliero di distribuire, a rotazione, l’acqua ad ogni famiglia e ad ogni mensa per l’abbisogna, aveva con se un registro delle consegne e delle prenotazioni che aggiornava continuamente con i nominativi corrispondenti. L’amministrazione gli forniva il carretto, il mulo e il serbatoio per il trasporto dell’acqua che prelevava dalla fonte e travasava nei contenitori messi a disposizione dalle famiglie.
L’acquaiolo si recava nei punti di approvvigionamento dell’acqua potabile e le varie sorgive gli erano perfettamente conosciute.
Ora prendo in prestito le parole di Gianfranco Massidda per narrare una storia, una di quelle realmente accadute nella Casa di Reclusione dell’Asinara.
I riferimenti temporali ed i nomi dei protagonisti sono ovviamente stati accuratamente modificati al fine di rendere impossibile il riconoscimento.
L’acquaiolo di Case Bianche
La primavera dell’anno ’63 annunciava prepotentemente il suo arrivo imminente ed aveva preparato l’isola vestendola con colori sempre più brillanti.
Il mese di marzo aveva il tepore del sole, i rami degli alberi, rigonfi di linfa, lasciavano uscire le prime gemme.
Alla lavanderia (Cala della Murighessa) era un tripudio di fiori di albicocco, di pesco, di pero e la Torre di Trabuccato aveva disteso un tappetino uniforme, color verde chiaro, nelle sue tanche.
I primi agnellini iniziavano a scalpitare, impazienti di nascere e a Capo Perdu l’invaso dell’acqua era ricolmo fino all’inverosimile.
Il 27 marzo, alla conta serale della Diramazione di Campo Perdu manca all’appello un detenuto sconsegnato, addetto alla porcilaia, un certo Antonio Porcu (ironia della sorte!), ma il fatto in Diramazione non destò apprensione poiché Tonino sarebbe dovuto andare in libertà di li a pochi giorni, infatti il 20 aprile successivo ed era improbabile ipotizzare una evasione.
Tuttavia, dopo le verifiche dovute, iniziarono immediatamente le ricerche di colui che, essendo “non presente alla conta serale”, era stato dichiarato “evaso”.
Già dalla notte della scomparsa, il Capo Diramazione inviò un drappello di agenti alla porcilaia con l’ordine di cercare ogni traccia dell’evaso. Gli agenti trovarono i maiali affamati e capirono che Tonino non li aveva alimentati durante tutto il giorno.
La casetta della porcilaia però era in ordine, negli armadietti si trovò il pasto del detenuto ed una serie di filaccioni (2) nascosti in un barattolo, segno evidente della possibilità che il detenuto fosse abituato, di nascosto, a recarsi a mare per gettarli, per poi ritirarli la sera e rimediare qualche pesce che certo non scarseggiava.
Gli agenti cercarono intorno alla casetta, ipotizzando anche un malore, ma non trovarono riscontri.
Con le prime luci dell’alba iniziarono le ricerche in grande stile, il territorio fu suddiviso con cerchi concentrici partendo dalla porcilaia e il personale si dispose a battere la zona, cespuglio per cespuglio.
Qualche giorno dopo, la zona interessata alle ricerche si era estesa sino a “mare di fuori”, ma non si era trovato nulla. Non c’era nessuna traccia dell’evaso e la Direzione chiese a Gianfranco Massidda di ispezionare con la sua imbarcazione la scogliera dal mare, cioè tutta quella zona scoscesa di fronte a Campo Perdu, ma c’era mare formato e Gianfranco non potè far altro che esperire un tentativo di avvicinarsi alla zona per rientrare rapidamente al Faro di Punta Scorno, a causa del forte vento.
Le ricerche proseguirono via terra ed una pattuglia di agenti, costeggiando tutto Portu Mannu, vide, nei pressi del mare, emergere, da sotto una grossa lastra di pietra, un indumento colorato, spostando la lastra ci si accorse della presenza del corpo dell’addetto ai maiali di Campo Perdu.
Cercando nei pressi si trovò una pietra, con una ciocca di capelli del malcapitato, ancora attaccata.
La notizia si sparse in tutta l’isola in un battibaleno, immediatamente venne interessata la Procura delle Repubblica di Sassari che aprì formalmente l’indagine contro ignoti per l’assassinio del detenuto e dispose l’interrogatorio di tutti coloro che avevano avuto la possibilità di incrociare Antonio Porcu,
Contestualmente ordinò l’invio della salma a Sassari per proseguire nelle indagini di tipo tecnico.
Ogni persona che aveva avuto occasione di frequentazione di Porcu fu chiamata a deporre, ovviamente i primi ad essere ascoltati furono i compagni di cella e poi gli sconsegnati di Campo Perdu, e l’interrogatorio per ogni persona sostanzialmente si basò sulla richiesta di fornire un alibi che, alla verifica, risultarono tutti suffragati da elementi che poco lasciavano al dubbio.
Trascorse infruttuosamente tutta la primavera e, sul finire dell’autunno, quando ormai i ricordi del tremendo fatto stavano iniziando a stemperare, insieme al tepore delle spiagge, si verificarono a Case Bianche due accadimenti inquietanti, il primo fu la scomparsa di un altro detenuto!
Come il precedente di Campo Perdu, anche questa persona aveva poco tempo da trascorrere in carcere, prima di uscire libero ed anche questa volta, le ricerche, sia pure estese e minuziose, non diedero esito alcuno.
La Direzione dell’epoca richiese perfino l’intervento del Nucleo cinofilo dei Carabinieri, ma i cani non sortirono l’effetto sperato poiché il territorio, popolato da numerosa selvaggina ed animali in allevamento, “distraeva” l’olfatto dei segugi a quattro zampe, pur espertissimi nelle ricerche.
Dopo un paio di giorni il Nucleo cinofilo abbandonò il campo.
Trascorsero ancora una decina di giorni ed accadde un secondo fatto singolare.
Alcuni detenuti che raccoglievano legna nel bosco di pini (nella zona del rimboschimento) ubicato dopo la Diramazione di Case Bianche, nel preparare uno spiazzo per collocare alcune trappole abusivamente destinate alla cattura delle pernici, notò una cintura marrone fuoriuscire dal terreno.
Si accorsero subito che la cintura era quella dei pantaloni del detenuto scomparso, il cui corpo si rinvenì malamente sotterrato poco distante.
Il cadavere fu subito recuperato e trasportato all’obitorio di Sassari dove il perito accertò che l’uomo, come nel precedente delitto, era stato ucciso con un colpo di pietra alla nuca, dopo aver subito una violenza sessuale.
Come nel primo delitto, all’Asinara si rafforzò la psicosi ed i bimbi non furono più lasciati soli a giocare, senza la presenza di un adulto.
Mentre gli interrogatori proseguivano con le persone di Campo Perdu e, contemporaneamente anche con i detenuti di Case Bianche, un agente di quest’ultima Diramazione si ricordò che l’acquaiolo sconsegnato, era rientrato la sera prima con le maniche della camicia chiuse dai bottoni, aveva però lasciato scoperto una piccola parte da cui poteva scorgersi un graffio.
Chiamato dal Capo Diramazione, gli vennero scoperte le braccia che presentavano numerosi graffi.
L’acquaiolo, preso a verbale dal Maresciallo dichiarò di essersi graffiato cadendo in un cespuglio di rovi, ma gli agenti non gli credettero e lo condussero a visita dal medico condotto, il Dottor Vindice Silvetti per la conferma ufficiale.
Il medico confermò le impressioni degli agenti e l’acquaiolo fu tradotto a Sassari per essere sottoposto a visita dermatologica che accertò definitivamente che trattavasi di lesioni cutanee procurate da azioni violente di origine umana.
In poche parole erano graffi!!
Messo alle strette e davanti alle stringenti contestazioni l’acquaiolo confessò i due delitti per i quali fu condannato dal Tribunale e non tornò più all’Asinara.
Confessò anche il percorso che lo aveva portato, da Case Bianche, a raggiungere facilmente Campo Perdu per poi rientrare, dopo aver compiuto la prima violenza ed il primo delitto, senza essere visto dagli agenti, passando sulla cresta delle montagne (nell’immagine a lato il tratteggio in colore verde).
Ubicazione della sorgiva 5 di Elighe Mannu.
Scrive Leonardo Delogu: La zona è sempre la stessa e le sorgive si trovano a Elighe Mannu sono tutte in fila sulla stessa strada.
n.b. Le tabelle sono d’epoca fascista e sono state danneggiate da ignoti in epoca remota, nell’intento di renderne invisibile il fregio del periodo.
Anno XI dell’E.F. ovvero “anno undicesimo dell’era fascista“ che era la modalità di misurazione temporale imposta nel periodo storico indicato. Corrisponde a periodo compreso tra il 28 ottobre del 1932 e lo stesso giorno del 1933.
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LEGENDA
1) La “conta”
è l’operazione periodica, regolarmente eseguita dal personale addetto alla sorveglianza, consistente nella contemporanea presenza all’interno della struttura di assegnazione di tutti i detenuti per procedere all’appello.
2) “filaccione”
si tratta di circa trenta metri di lenza da pesca, da calare fino ad una profondità di circa 20 metri, dotato di uno o più ami a loro volta innescati con oloturia tagliata a strisce (o altre esche, molto appetite dalle prede).
Il filo viene lasciato in situ e poi, dopo alcune ore, salpato per recuperare il pescato.