Si Carlo,
ma tu sai quante decine di persone ho accompagnato in quella cala dove, da giovane, ho scoperto un affusto di cannone in bronzo?
Decine e decine e sai perchè non dicono nulla?
Poi, penso che sorrida Gianfranco, mentre mi lascia libero di indovinare la risposta.
Immagino i suoi occhi, stringersi come fessure, che scrutano il mare, al largo, per intravvedere il punto esatto dove è affondata l’imbarcazione, una barca a vela che, evidentemente disalberata ed in balia della mareggiata, ha trovato il suo riposo, quasi eterno, nei bassi fondali di Cala Sa Nave in quel dell’Asinara.
La struttura dell’imbarcazione in legno resiste alla carezza dell’onda, all’offesa del sale e all’incuria del tempo, la sua sagoma si riesce a percepire ancora oggi nell’ombra della posidonia, ma il cannone è sempre lì ed ha la sua bocca spalancata, quasi lucida, nonostante gli anni trascorsi in acqua.
Evidentemente è in bronzo, materiale che, è risaputo, rallenta se non impedisce l’attecchimento delle concrezioni marine.
Chi ha la fortuna di immergersi nel fondale limpido di Cala Sa Nave, vede subito quella che sembra proprio la bocca spalancata di un uomo nel disperato tentativo, inutile, di riprendere una boccata d’aria, dopo che il suo piede è rimasto intrappolato da una robusta sagola .
“E poi Carlo“, continua Gianfranco, “ci dovrebbero essere, sparse tutt’intorno, tra le rocce e i radi ciuffi di posidonia, anche le dotazioni di bordo dell’imbarcazione, le parti metalliche dovrebbero essersi salvate come le stoviglie e, se si trattasse di un mercantile, forse si potrebbero ritrovare anche contenitori della merce trasportata.”
Anche l’ultima persona che ho condotto sul posto esatto mi aveva promesso una foto subacquea del cannone, poi però si è defilata …….. aveva la macchina da ripresa subacquea guasta… e poi tristemente aggiunge: “Eppure glie l’avevo chiesto espressamente …… solo una fotografia …per conservarla tra i miei ricordi più cari”.
Ma non soddisfatto Gianfranco continua: “Perchè poi sai, ci penso spesso, che si dice che gli asinelli bianchi furono portati all’Asinara da un imbarcazione che affondò per una mareggiata e … potrebbe anche essere quella di Cala Sa Nave, la nave a vela che trasportava l’unico nucleo di asinelli bianchi da cui derivano tutti gli attuali esemplari albini, unici al mondo.”
LA STORIA DEL CANNONE di Cala D’Oliva
Gianfranco mi offre anche la storia del cannone di Cala d’Oliva, che molti indicano, ancor oggi, come facente parte della soprastante Torre di avvistamento e racconta che, per tantissimi anni era rimasto adagiato nel bagnasciuga della spiaggia sotto i tamerici di Fornelli alla destra del molo.
Anche Guido Cacciotti conferma il racconto che continua….
“Fu tirato in secca e portato vicino alla Diramazione di Fornelli dove, su incarico della Direzione, gli fu costruita una base d’appoggio in cemento armato”.Gli agenti di custodia erano ormai abituati a vederlo ed ogni occasione era buona per scattare una fotografia con il Cannone di Fornelli (foto sotto archivio Guido Cacciotti).
Il cannone restò, per moltissimo tempo, a guardia della Diramazione di Fornelli con la bocca rivolta verso Stintino e la salsedine, aiutata dal trascorrere degli anni, ben presto sgretolò la base in cemento.
Dopo la guerra un imprenditore livornese aveva ottenuto l’appalto per il recupero del ferro dai mezzi navali in disuso.
Il ferrovecchio man mano che si ritrovava, veniva accatastato sulle banchine di Cala Reale in attesa di essere caricato sul traghetto.
Anche il cannone di Fornelli, ormai privo di base, venne depositato ìn banchina, in attesa del trasporto in fonderia, ma la pronta segnalazione di Gianfranco, che era amico di giochi del figlio del Direttore del Carcere, giunse alle orecchie del padre, il dottor Fadda di Cagliari, che immediatamente bloccò l’operazione di carico e ordinò il trasferimento dell’affusto a Cala d’Oliva.
Poi, alla metà degli anni sessanta, fu il Direttore Catello Napodano, che a seguito del completamento della sistemazione della strada e della passeggiata a Cala d’Oliva, e visto che il brigadiere Agnelli aveva realizzato il basamento in cemento, dispose la sistemazione definitiva del cannone che molti hanno poi conosciuto lì.
SUL CANNONE DI CALA D’OLIVA
Nino Giglio nel suo libro “l’Asinara” (Rebellato Editore) ed 1974 ci riferisce che nel 1636 alcune galere di Biserta attaccavano vari legni, “che avevano assalito alcune torri dell’Asinara” depredandoli.
Scoppiata la guerra dei trent’anni, i Francesi tornarono a fronteggiarsi con gli Spagnoli e con i Sardi nelle acque dell’Asinara e vi fecero da padroni: il 12 giugno del 1637 il Municipio di Sassari deve dare 5 lire di elemosina “als peregrins” derubati dai Francesi nei pressi dell’isola, e verso la fine dello stesso anno, truppe francesi agli ordini del Capitano Roques, sbarcano a Fornelli, tolgono al Castellaccio un cannone di bronzo “ed altre munizioni di guerra” e le trasportano a bordo delle loro navi; si trasferiscono, quindi al Trabuccato e si fortificano attorno a quella torre fino al momento in cui decidono di muovere alla conquista di Alghero.
Nella nota a piè di pagina lo stesso Nino Giglio specifica: “La zona di Fornelli, era indubbiamente, a quell’epoca (1637 n.d.a.), ben fortificata: oltre alla presenza del Castellaccio, si ha notizia di una località “il cannone”, così chiamata perché vi si trovava postato un cannone in funzione antisbarco:” Poi aggiunge: “quel cannone, rimasto chissà come all’Asinara fino ai giorni nostri, trovasi ora collocato su un belvedere nei pressi di Cala d’Oliva a maggior decorazione del paesaggio.
Altro cannone si trova affondato presso la costa di Torre d’Arena, incastrato fra le rocce a pochi metri di profondità e certo appartenente all’armamento della torre stessa.
Nella immagine del 1935 che segue, della collezione Lorenzo Spanu, che saluto, si possono osservare alcuni detenuti che escono dalla Diramazione di Fornelli e, alle loro spalle, si distingue il cannone…..
Conclusa la chiamata mi metto alla disperata ricerca dei miei neuroni, ormai in fase di dispersione acuta e, complice il fresco, che questi temporaloni estivi hanno infilato nelle caldissime giornate dell’estate 2015, ho ricercato i riferimenti storici certi dei due racconti di Gianfranco e relativamente al cannone di Cala Sa Nave che presenta la tipica conformazione delle bocche da fuoco prodotte dalle fonderie genovesi intorno alla metà del Cinquecento.
Quella di Cala Sa Nave, così ben descritta con indiscussa precisione da Gianfranco Massidda potrebbe quindi configurare una “bombarda“, tipico pezzo da fuoco che armava le navi mercantili, spesso impegnate nel trasporto del grano siciliano verso i porti del Mediterraneo occidentale, che dovevano difenderle dagli attacchi di pirati e corsari.
L’arma sparava un proiettile sferico metallico, pesante circa 5 chilogrammi, con un tiro efficace che poteva superare i 1000 metri e infliggere seri danni alle veloci imbarcazioni a remi, fuste e galeotte, che formavano le flottiglie barbaresche.
Invece dell’imbarcazione affondata a Cala Coscia di Donna (Stintino) sono stati trovati precisi riscontri nella già menzionata “Relazione del Campo di Prigionieri Austro Ungarici” ad opera del Generale Ferrari, relazione in cui si dice che il “Santa Caterina” era un piroscafo inglese che trasportava grano per L’Amministrazione militare di Napoli e che affondò davanti la Cala di Coscia di Donna il 7 maggio 1916.
Considerato che poteva essere recuperata una parte del carico (grano) stivato nell’unico scomparto rimasto indenne, venne inviato il Piroscafo “Lazio” con un centinaio di prigionieri che il 10 maggio 1916 recuperò 70 tonnellate ed il 13 ulteriori 30 tonnellate di grano che furono trasportate a Cala Reale.
Fu quello (1914-1916) un periodo particolarmente tormentato dell’isola Asinara, si accavallarono sul suo terreno vicende tragiche che avevano in comune le origini: la guerra.
Infatti con i prigionieri austro ungarici che stazionavano sull’isola e quasi in concomitanza con l’affondamento del piroscafo S. Caterina”, il 12 maggio, alle ore 11 circa, si verificò anche il disastro della caduta, nel Golfo omonimo, del dirigibile francese “T” con la conseguente morte dell’equipaggio ed il recupero di quattro salme.