Il faro di Punta Scorno osserva tranquillamente dall’alto dei suoi trentacinque metri l’indaffarato agitarsi di queste piccole formiche chiamate uomini.
In centocinquantasette anni di vita ne ha viste di storie dipanarsi sotto il suo occhio vigile, un occhio benevolo che sembra socchiudersi al sorgere del sole per risvegliarsi all’imbrunire.
Il termine “sembra” è stato volutamente utilizzato poiché solo apparentemente il Faro è addormentato durante il giorno, ed è sufficiente una tempesta perché il “Farista” o “Fanalista” inforchi il suo binocolo e riprenda attivamente il suo ruolo di silente “angelo custode” dei marinai.
Oggi non è più così, più nessuno scruta l’orizzonte cercando natanti in difficoltà c’è un meccanismo temporizzato che permette l’accensione del faro ed il suo regolare funzionamento. E’ il progresso.
Il suo potente fascio di luce è però ancora molto potente e visibile da ben sedici miglia ovvero ad una distanza di 29,6 km!
La storia dei fari di segnalazione, importantissimi per la navigazione, ancora oggi che è ormai d’uso comune il radar, si svolge in parallelo con la storia dell’illuminazione e della “energia luminosa”.
Possiamo solo lontanamente immaginare le difficili condizioni in cui, in centocinquantasette anni, hanno sempre operato queste persone che possiamo anche definire “eroi” e le loro famiglie, perennemente in lotta con le avversità naturali e circondati esclusivamente dalla presenza del mare.
Una presenza che è totalizzante, il mare è tutto e non ti lascia mai solo.
Quelli rappresentati in questa pagina sono alcuni “pezzi di ricambio” del generatore luminoso del faro di Punta Scorno che Gianfranco Massidda, gelosamente conserva e che gentilmente mi ha concesso di fotografare.
Pezzi unici, inestimabili non soltanto per l’indubbio valore storico che tutt’ora conservano, ma se si riflette un attimo si capisce che dietro questi strumenti e attraverso la competenza dei fanalisti si giocava spesso la sicurezza e quindi la vita del marinaio.
Mi è sembrato doveroso riservare al Faro di Punta Scorno, al nostro gigante buono, una sala del Museo di Fornelli intitolandola a Gianfranco Massidda, la persona che ha dedicato molta parte della sua vita all’Asinara ed al suo faro.
Il Faro di Punta Scorno fu costruito nel 1854 e reso attivo come segnalazione ai naviganti nel 1859.
La costruzione fu effettuata in due tempi, per prima si edificò la torre alta 35 metri e subito dopo gli venne costruito attorno il fabbricato di servizio di tre piani.
Per 118 anni il nostro Faro di Punta Scorno fu sempre affidato alla cura di un fanalista che vi risiedeva stabilmente, insieme alla sua famiglia, questo accadde fino al 1977, anno in cui fu completata l’automazione che ha reso inutile il presidio umano.
Di seguito l’immagine dell’ottica moderna (2003) realizzata da Francesca Soddu che ringraziamo sentitamente.
Un ringraziamento particolare a Gian Paolo Delogu Pittalis che, scavando nei meandri della rete, ha scovato la soprastante bellissima immagine aerea del faro di Punta Scorno in esercizio.
Il SERVIZIO FARI del Ministero della Difesa.
La manutenzione del Faro di Punta Scorno era affidata al Servizio Fari del Ministero della Difesa di stanza alla Maddalena.
Un elettricista del Servizio, per lungo tempo è stato Nicola Sechi (classe 1946) che periodicamente giungeva all’Asinara per le esigenze tecniche della struttura di avvistamento.
L’elettrificazione di Punta Scorno avvenne nell’inverno del 1973, prima di allora erano stati installati tre gruppi elettrogeni da 8Kw/220 volt che fornivano l’energia elettrica necessaria al funzionamento del Faro.
“L’approvvigionamento del combustibile per alimentare i gruppi elettrogeni avveniva via mare con adeguati mezzi navali che ormeggiavano nella piccola banchina adiacente il faro. Qui venivano scaricati i pesanti fusti in ferro zincato della capacità di 200 litri cadauno.
Il problema maggiore era però rappresentato dal trasporto di questi fusti dalla banchina alla struttura del faro, posto a 80 metri sul livello del mare, in prossimità dei depositi di carburante dei gruppi elettrogeni.
Per ovviare al problema venne avanzata richiesta ufficiale di avvalersi della manodopera dei detenuti che, di volta in volta, volontariamente, aiutavano nel trasporto dei fusti dal pontile al serbatoio.
I detenuti provenienti dalla Diramazione di Case Bianche, giungevano accompagnati dalla “Guardia a cavallo” ed offrivano volentieri il loro aiuto perché questa rappresentava un’occasione per trascorrere, una o più giornate, in compagnia di persone al di fuori del contesto penitenziario e assaporare quindi, nei limiti del possibile, una parvenza di ritorno alla normalità, nonostante la costante presenza degli agenti addetti alla loro sorveglianza.
Al termine del lavoro, ai detenuti era permesso consumare il pasto in prossimità del faro, all’aria aperta e durante queste soste, spesso, venivano loro offerti caffè, acqua fresca e, per benevola concessione, al termine della giornata lavorativa, un graditissimo bicchiere di vino.
Se il trasporto dei barili avveniva durante il periodo estivo e vi erano le necessarie garanzie che non si potessero verificare tentativi di allontanamento da parte dei detenuti, in via del tutto eccezionale, veniva concessa loro la possibilità di fare il bagno in mare per refrigerarsi e lavare via la stanchezza”
(02 marzo 2018 – Gianni Piano su pagina fb degli “Affetti dal mal d’Asinara”… tratto da: “Luci sulla costa” di Nicola Sechi)
Come sempre si afferma in questo sito i fabbricati ubicati sull’isola dell’Asinara hanno subito, nel corso dei secoli, ristrutturazioni e modifiche nella destinazione d’uso, in relazione alle necessità contingenti.
Nicola Sechi, ad esempio, ha abitato nel fabbricato posto alla base del faro di Punta Scorno poichè scrive: “Ciao Carlo hai colpito nel segno, quello che mi hai indicato era la palazzina dove alloggiavano noi di Marifari La Maddalena, così pure i colleghi dell’Ufficio Tecnico fari – di La Spezia.
In via eccezionale veniva concesso al personale di ditte private che eseguivano interventi al faro.”
IL GIGANTE BUONO dell’Asinara
Il faro dell’Asinara, che si erge sulla “Punta di lu Corru”, fu costruito nel 1854.
Alla sua costruzione vi lavorarono diversi “masthri frabigamuri” (mastri muratori), ognuno dei quali aveva una propria squadra. Si dice che durante l‘edificazione della parte cilindrica del faro per tre volte consecutive crollarono le scale che portavano in cima.
Quando tutti i mastri si rassegnarono all’idea che quelle scale, cosi come progettate, non si sarebbero potute costruire, si fece avanti un anonimo manovale, un certo Nicolò Barabino detto “Scialotto”, figlio di Gerolamo Barabino, pescatore di Cala d’Oliva.
Egli si propose al direttore dei lavori, dichiarandosi capace di costruire le scale.
Inizialmente, vista la giovane età (“Scialotto” era del 1835 quindi aveva 15 anni) la sua offerta non venne presa in considerazione. Successivamente, data la sua insistenza, gli fu accordata la fiducia. La scelta non fu sbagliata, infatti egli riuscì nell’opera.
In origine la costruzione sarebbe dovuta essere costituita da un edificio a due piani, che fungeva da casa per il fanalista e per i suoi familiari, sul quale si sarebbe eretto un maestoso faro con forma cilindrica.
Durante la fase di costruzione, i progettisti, resisi conto delle forti oscillazioni a cui sarebbe stata sottoposta la parte cilindrica del faro, sollecitata delle forti tempeste di vento, decisero di irrigidirlo sopraelevando l’edificio che lo circondava di un ulteriore piano, raggiungendo l’attuale configurazione.
Dopo la costruzione e l’entrata in funzione del faro, un altro grave problema interessò la struttura.
Durante i temporali, a causa della sua altezza e della presenza di metalli nella cupola, il faro diventava il parafulmine dell’Asinara. Per poter assicurare l’incolumità del personale, si pensò quindi di cingere il faro e l’edificio sottostante con delle piattine di rame, al fine di costruire una sorta di “gabbia di Faraday“.
Pubblicato da Leonardo Delogu nella pagina degli “Affetti dal mal d’Asinara” il 10 dicembre 2018
brano liberamente tratto da il Tempo Della Memoria di Antonio Diana – Sindaco di Stintino
GLI ABITANTI DEL FARO
“Buonasera a tutti,
giorni fa riordinavo le foto dell’Asinara …avevo fotografato queste curiose cementine nell’edificio che si trova al di sotto del faro di Punta Scorno…
Sapete dirmi qualche cosa su quell’edificio?
E ci sono cementine simili in altri edifici dell’isola?
Francesca poi inserisce, a corredo del post, due immagini:
due sono le risposte che Francesca ottiene:
La prima da Carlo Hendel che scrive:
Cara Francesca Soddu,
spero che la tua attesa sia stata premiata, come quasi sempre accade. attendo pazientemente che altre autorevoli voci si aggiungano per dare informazioni più precise e puntuali.
Il fabbricato insiste sull’area di pertinenza del faro di Punta Scorno ed era destinato ad alloggio del personale di Marifari La Maddalena. Anche il personale dell’Ufficio Tecnico di La Spezia fruiva di quell’alloggio.
In via del tutto eccezionale veniva concesso alle ditte private che effettuavano operazioni di vario tipo (ad esempio edili) nella struttura del Faro di Punta Scorno.
Non ho notizie della presenza di questo tipo di pavimentazione esagonale in cemento che ti ha colpito, posso però presumere che la Ditta che ha effettuato la costituzione del marciapiedi o la sua manutenzione abbia reperito il materiale su mercato locale o di provenienza, ma essendo gare indette dal Ministero della Difesa difficilmente le ditte costruttrici avrebbero avuto l’opportunità di utilizzare identici materiali.
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Anche Angela Greco testimonia:
La palazzina era abitata da due fanalisti con le rispettive famiglie, poi un alloggio veniva riservato, per eventuali passaggi di operai della marina o ufficiali che venivano per lavori o collaudi, personalmente, io e la mia famiglia abbiamo abitato dalla sua costruzione, sino al 1969 anno in cui mio padre è stato trasferito al faro di Porto Torres
Molte sono state le famiglie che si avvicendarono nelle abitazioni connesse alla struttura di avvistamento della Marina. In altre parti del sito abbiamo parlato del Sig. Gianfranco Masssidda, poi della Famiglia Vitiello, dei Greco e dei Milleire, ma recentemente è pervenuto, nella nostra pagina, il post di Lucia Amato che così scrive:
Sono la nipote di Antonio Francesco Caravagna, classe 1893, il capostipite di un’altra delle famiglie che abitarono il faro di Punta Scorno. So che mio nonno era capofanalista ed il periodo di cui parlo dovrebbe essere quello a cavallo tra gli anni ’40 e ’50.
Sicuramente, per gli anni a cui mi riferisco, la famiglia di mio nonno e quindi di mia madre, Emilia Caravagna, ha condiviso il faro con
la famiglia Vitiello, sebbene anche i cognomi Mercurio e Millelire mi suonano familiari per via dei racconti di mia madre e di mio padre, Mario Amato.
Anche mia madre, che al tempo era una ragazzina, ed aveva intorno ai 12 anni, mi ha raccontato di temporali tremendi e di fulmini che piovevano. In particolare narrò di una volta in cui sua sorella Angela, di qualche anno più grande se la vide molto brutta. Colta dal fulmine mentre era nella loro stanza di ragazze.
Evidentemente il colpo non le fu letale, dato che mia zia vive tutt’ora, ma la trovarono attaccata di schiena alla parete, in evidente stato di shock e ci mise un po’ a riprendersi.
Erano altri tempi, quando gli uomini e le donne fronteggiavano e vivevano in simbiosi con la natura con quel poco di “civilizzato” che avevano a disposizione, solo con la loro tempra e la disponibilità ad accettare quello che il cielo gli riservava e, solo in parte, senza la consapevolezza di essere, invece, dei pionieri che offrivano la loro esperienza per ciò che di migliore, sarebbe arrivato nel futuro.
Lucia Amato
(fb “affetti dal mal d’Asinara” 18.12.2018)
(Immagine antica, del Faro di Punta Scorno, inserita da Leonardo Delogu nella pagina fb degli “affetti dal mal d’Asinara” in data 10.12.2019)