Una volta tanto parliamo di alimenti e lo facciamo raccontando, per quanto possibile, anche una parte della vita di coloro che si trovavano nella struttura penitenziaria per scontarvi una condanna inflitta dalla giustizia ordinaria.
Oggi tutte le rubriche televisive non perdono occasione per propinarci, ad ogni ora del giorno e della notte, ricette e modalità di preparazione di pasti di ogni tipo, con improbabili cuochi improvvisati e non, destinati quasi esclusivamente a vendere la propria immagine.
Sulla scia di questa, che ormai potremmo chiamare moda, si stanno adeguando anche i siti turistici su internet che offrono, al viaggiatore dell’ultima ora, il menù dell’uomo famoso, la panzanella dell’arco marino….
In una delle mie telefonate con Gianfranco Massidda, non molto tempo fà, ho chiesto all’amico cosa stesse preparando per il suo pranzo e subito mi ha risposto: “Eh! Il minestrone del detenuto.”
LA GIORNATA DELLO SCONSEGNATO
Abbiamo già narrato, in diverse parti di questo sito, di una particolare categoria di persone detenute che
- per la pregressa attività di lavoro in determinati settori produttivi (pastorizia agricoltura etc)
- per le capacità già dimostrate in ambito lavorativo – penitenziario,
- per l’affidamento dimostrato attraverso la partecipazione attiva al programma individuale di recupero che “l‘Equipe dell’Osservazione e Trattamento” ** aveva predisposto per loro,
- per l’osservanza delle norme del Regolamento dell’Istituto,
ottenevano lo status di “sconsegnati” * cioè privi di consegna.
La “consegna”, per un detenuto, era costituita da tutte quelle norme imperative che consentivano a tutta la comunità, una vita regolare all’interno della struttura penitenziaria quali, ad esempio la presenza obbligatoria alle operazioni di conteggio dei ristretti, oppure il rispetto dovuto agli Agenti della Polizia Penitenziaria, etc.
Oggi si è giunti alla Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati che viene consegnata al detenuto all’atto del suo ingresso di carcere insieme ad altre norme e regolamenti penitenziari.
Normalmente i pastori, cui era affidata ogni categoria di animali in allevamento, erano sconsegnati ed avevano come base diurna per la loro attività le aree necessarie all’allevamento, ad esempio i pastori addetti alla capre di Campo Perdu avevano un “caprile” in cui insistevano differenti strutture: recinti per il ricovero degli animali, il ricovero chiuso per i capretti, i locali di mungitura, gli spogliatoi, il locale del frigorifero ove depositavano il latte munto ed in attesa del trasporto al Caseificio di Cala d’Oliva.
La sera tutti gli sconsegnati dovevano obbligatoriamente rientrare in Diramazione per trascorrervi la notte.
Lo spogliatoio era normalmente un locale dotato di camino nel quale, i pastori conservavano i loro vestiti da lavoro e potevano preparare e consumare anche il loro pasto giornaliero.
La mattina presto, dopo aver governato il bestiame, il detenuto che aveva assunto l’impegno di preparare il pranzo, faceva soffriggere le ossa di bovino ben spolpate, oppure ossa di suino, vi aggiungeva un pezzettino di grasso di maiale, tutte materie che residuavano sempre dalla distribuzione periodica alle famiglie ed al personale.
Naturalmente effettuava l’operazione in una pentola capiente.
Poi vi aggiungeva l’acqua bollente, cipolle, patate, sedano e aglio selvatici, carote ed ogni erba spontanea commestibile, cicoria, bietoline, qualche mazzetto di finocchietti e sopratutto “s’amurata” (in sassarese “rusiri”) che ha la foglia simile al ravanello in pratica un ravanello selvatico.
Le piante erbacee erano reperite dagli ortolani e dai pastori che avevano l’opportunità e la possibilità di cercarle. Essendo pastori anche nella vita civile, prima della carcerazione, questa attività di ricerca delle erbe spontanee non costituiva per essi un problema.
All’ora prestabilita i detenuti pranzavano, a seconda della propria attività di lavoro ed in corrispondenza dei controlli che la guardia a cavallo effettuava periodicamente.
La cena veniva consumata in anticipo per consentire agevolmente la sistemazione del bestiame per la notte, il riassetto della cucina ed avere il tempo necessario a rientrare in Diramazione dove si doveva, obbligatoriamente, essere presenti alla “conta generale”.
Ogni tanto, nelle giornate particolari, era d’abitudine aggiungere al minestrone una manciata di pasta chiamata “tubetti” (pasta corta) poco prima di consumare il pasto serale.
PROGETTO DUEMILAVENTI
Il viaggiatore di nome Roberto, proveniente dal Friuli atterra, frastornato, dal silenzioso mezzo elettrico che lo ha condotto in una visita ecologica nel Parco Nazionale dell’Asinara.
Scende a Cala d’Oliva, nella Piazzetta intitolata ai Caduti della Corazzata “Roma”, dove il sole picchia implacabile e si riverbera nel cemento della piazza.
Gli occhi di Roberto a stento riescono a trattenere le fotografie che la sua mente ha scattato, a ripetizione, immagini dei bellissimi panorami, delle infinite calette dell’Asinara…… tutte elencate, con competenza unica, dalla guida.
Nelle sue orecchie risuonano ancora le parole di Elisabetta, guida preparatissima che, con affetto infinito, ha lungamente parlato a lui e agli altri della comitiva, dei luoghi e degli uomini ed ha spiegato, con cognizione, le differenti funzioni svolte in quello che oggi è un bellissimo Parco…………
Alle spalle del turista una targa “Lo Stazzo di Case Bianche“.
Il friulano si avvicina, diffidente, al bianchissimo fabbricato, dalla porticina sbuca il sorriso largo del gestore che lo invita a visitare i locali dell’esercizio e subisce la prima bordata di domande: Ma è vero che qui servite il famoso “Minestrone del detenuto”???
e subito il gestore gentile: Quello è il nostro piatto forte, ma noi qui amiamo dire che serviamo “Cultura” perchè tutti i nostri piatti, destinati a soddisfare i palati più esigenti dei nostri clienti, sono accompagnati da notizie storiche sulla loro origine e sulla trascorsa gestione dell’Isola dell’Asinara.
Così narrando …….. il giro per il fabbricato è terminato, Roberto si è seduto estasiato ad un tavolo apparecchiato, mentre si avvicina un ragazzo della Cooperativa archeoturistica della Murighessa …… che si presenta e …..
…inizia a raccontare la storia del “minestrone del detenuto”.
Il servizio del personale di sala è rapido, efficiente, tranquillo.
Il turista è a suo agio…. ha già scelto il menù ed il vino.
Mentre il personale serve l’antipasto, nella sala si diffonde il profumo del “minestrone del detenuto” mescolato alle note di una musica di sottofondo…. i ragazzi della Cooperativa della Murighessa si avvicendano nel racconto…………
Il turista è estasiato, tornerà! Non pensava ci fossero luoghi così al mondo ……. e non ha visto tutto!
Un sogno?
Cosa impedisce di sognare?
Dedico questo articolo “il minestrone del detenuto” al mio carissimo amico Gianfranco Massidda, memoria storica d’ineguagliabile precisione, dell’isola dell’Asinara
Carlo (12 giugno 2019)
legenda:
*Nel 1973, pochi anni prima della riforma si usava un appellativo che all’Asinara rimase sino alla sua chiusura definitiva, seppure abbandonato dalle leggi: il detenuto “sconsegnato” ovvero “privo di consegna”. “Essere sconsegnati non era facile ma, in certe occasioni, non era neppure tremendamente difficile: occorreva, in qualche maniera, essere bravi nell’arte di arrangiarsi, saper sorridere nei momenti giusti, rispondere in maniera docile agli agenti e il gioco era fatto. Si diventava sconsegnati con tutto ciò che questa definizione significava per i detenuti e per gli agenti; vivere da sconsegnati era una fetta “virtuale di libertà in tasca”, significava poter camminare nell’isola in libertà per esercitare il proprio lavoro, non certo per passeggiare; i lavori più ambiti erano il pastore, lo stradino, l’addetto alle foresterie e l’elettricista.” Il controllo era disposto dal Capo Diramazione ed eseguito dalla guardia a cavallo.(liberamente ripreso da Supercarcere Asinara – di G. Cassitta e L. Spanu)