Il caseificio, collocato in uno dei punti più panoramici di Cala d’Oliva, fino al 1983 utilizzava per la caseificazione, tecnologie ottocentesche che sovente, a causa delle muffe sviluppatesi durante la caseificazione, procuravano un prodotto che doveva essere venduto rapidamente, pena il rigonfiamento delle forme.
Anche le assi in legno delle scaffalature dei locali in cui venivano tenute per la stagionatura erano intrise di muffe e di spore che giungevano fino ad attentare alla salubrità del prodotto.
Il latte, di tre tipologie (ovino, caprino e bovino) veniva miscelato prima di essere caseificato, ne risultava un prodotto di discreta qualità, a volte con qualche difetto.
La salatura del formaggio, prima della ristrutturazione, avveniva a secco, come si osserva nell’immagine di apertura dell’articolo.
I “doppifondi” (enormi contenitori dove veniva versato a mano il latte da lavorare) erano in origine tre, uno, durante la ristrutturazione ad opera della Ditta Magnabosco vincitrice della gara d’appalto, fu sacrificato per inserire la “polivalente” cioè un doppiofondo sopraelevato e perciò in grado di alleviare la fatica degli operatori (il latte veniva pompato nel contenitore) e permetteva di realizzare più lavorazioni con l’ausilio dell’agitatore e della “lira”(1) automatizzata. In questo modo anche lo scarico della cagliata, per caduta, era notevolmente agevolato dall’altezza del doppiofondo.
1983 Si modifica la tecnologia per la produzione del formaggio.
Le nuove strutture del caseificio di Cala D’Oliva avevano trasformato l’attività casearia, razionalizzandone la produzione con criteri che tendevano a replicare, in tutto e per tutto, l’attività di una moderna struttura casearia. La Direzione si mosse decisamente verso il rinnovo del Caseificio con l’intento di offrire, a chi prestava la propria opera, una qualificazione professionalmente elevata, maggiormente spendibile, una volta giunti alla liberazione, sopratutto nella società civile.
Il personale addetto giungeva a lavorare, nei periodi di punta primaverili, circa 2.000 litri di latte al giorno, producendo tre differenti tipologie di formaggio che l’Amministrazione, una volta stagionato, vendeva al personale ed in occasione delle festività anche agli stessi reclusi.
Il latte veniva controllato dal momento della mungitura nelle stalle di Campo Perdu e di Trabuccato, che disponevano di contenitori refrigerati per la conservazione, mentre la Diramazione di Case Bianche conferiva il latte direttamente vista la breve distanza.
Una volta giunto al caseificio l’acidità del latte era valutata e, se necessario, si procedeva alla sua correzione con l’innesto dei fermenti lattici selezionati, poi con introduzione del caglio si iniziava la vera a propria lavorazione.
Le produzioni del caseificio davano origine ai seguenti tipi di formaggio:
– di Pecora – prodotto con latte di pecora puro, con acidità verificata e corretta,
tramite innesto di caglio si procedeva alla formazione della cagliata, alla sua rottura, la discesa della massa nelle forme di sgocciolamento, la salatura in salamoia, la stufatura e pressatura dolce, infine si metteva il formaggio a stagionare per novanta giorni, nei locali risanati della cantina del Caseificio;
– di Vacca – prodotto con latte bovino con acidità verificata ed eventualmente
corretta, caglio, maturazione della cagliata, ricottura nel siero, sino ad ottenerne una pasta filata con la quale si confezionavano le “perette” famosissime per il loro sapore che venivano poste ad asciugare, legate in coppia ed appese in alto nel locale del burro (vedi immagine del locale);
– di Capra – prodotto con latte di capra in purezza con tecnologia simile a quello di pecora. Questo formaggio per il suo odore consistente risultava poco gradito all’acquirente. Per cui si sono sperimentate forme di produzione di caprini (tipo camembert e brie francesi) ben riuscite con ottimi risultati, molto apprezzati.
Una trattazione particolare meritano invece la ricotta ed il burro prodotti dal Caseificio di Cala d’Oliva perchè il tipo di pascolo con cui il bestiame si alimentava, l’assenza di manipolazioni nonchè la freschezza conferivano a questi c.d. “sottoprodotti” caseari caratteristiche organolettiche di qualità indubbiamente superiori.
Il burro veniva lavorato soltanto in occasione delle feste poiché la sua produzione diminuiva notevolmente la resa del formaggio ed il colore paglierino (senza aggiunte) era meno intenso di quello abituale cui l’industria ci ha abituato.[/box]
Questo pezzo di archeologia casearia è stato per me, come per molti nominati nel brano, qualcosa in più del nostra attività lavorativa. E’ stata una parte di vita, di quella vita così intensa e altrettanto incomprensibile per coloro che ancora si sorprendono quando dico che “non mi sono mai annoiato un solo minuto all’Asinara“.
Il Caseificio di Cala d’Oliva, ripeto, è stato anche una modalità, per coloro che hanno lavorato in questa attività, per progredire professionalmente e culturalmente.
Per questo, a mio modestissimo avviso, il Caseificio andrebbe correttamente ristrutturato e trasformato in una installazione didattico – museale, integrato organicamente nel percorso degli Osservatori della Memoria che si stanno predisponendo sull’isola.
Seguire le persone che, all’epoca, scontarono all’Asinara il loro debito con la società e verificare se la “scuola casearia dell’Asinara” senza professori e senza banchi, oltre a sfornare buone caciotte, gli sia stata utile nel prosieguo delle loro vite, sarebbe estremamente interessante, ma come spesso dico queste sono altre storie!
Ho sempre ricercato immagini e filmati che potessero documentare il lavoro che si sviluppava nel caseificio e sopratutto l’attaccamento con il quale i detenuti addetti a questa mansione, la esplicavano.
ASINARA ISOLA PROIBITA
Sono riuscito a rintracciare il bel documentario di Daniele Cini (Torino, 1955) e Maurizio Felli (Roma, 1959) girato nel 1993 ed uscito nel 1994 per la fotografia di Maurizio Felli, con il montaggio di Antonio D’Onofrio e la musica di Renè Aubry.
Un documentario che testimonia la vita sull’isola e dal quale ho tratto spunti di ricerca e spezzoni per illustrare compiutamente e meglio di tante parole la nostra azione
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Nella scheda del film si legge: “É la prima volta che una troupe italiana riesce a realizzare un documentario su quest’isola sconosciuta.” beh certo non era facile ottenere dal Ministero di Grazia e Giustizia l’autorizzazione per girare filmati che coinvolgessero persone detenute.
Allora ecco, per la storia dell’Asinara, una preziosa clip che mostra l’attività casearia a Cala d’Oliva, il lettore osservi e confronti le scene del documentario, con le immagini del Caseificio a quindici anni dalla sua chiusura (il parco per circa due anni dopo la sua Costituzione, ha proseguito l’attività del caseificio).
La voce narrante iniziale è quella di Vincenzo Denofrio, che abbiamo definito “il casaro di cala d’Oliva” e di cui abbiamo giù detto in precedenza in questo sito.
(1) La lira o frangicagliata è un componente della caldaia polivalente così chiamata perchè poteva essere utilizzata per più scopi (ricotta, formaggio) ed è composto da una serie di fili di acciaio inox che, ruotando, riusciva a sminuzzare la cagliata.
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