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Donato Carretta direttore (una fine assurda)


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Nel corso di questi lunghi anni di attività, in diversi articoli, quando è capitato, ho raccontato ampi stralci della storia di questo Direttore della Casa di Reclusione dell’isola dell’Asinara.
Il tempo trascorso dalla tragica scomparsa di Donato Carretta ha fatto da filtro, pur se ci sono venuti in soccorso articoli di giornali dell’epoca, interviste, immagini inedite, notizie desunte da documentazioni ufficiali.

La sua personalità risulta abbastanza complessa, da poter far pensare ad un articolo completo sulla sua figura pubblica, e sulla sua azione ricompresa in opere che hanno trasformato, in modo radicale, le strutture edilizie penitenziarie del periodo.

La fine orrenda che (18 settembre 1944) la sorte gli ha poi riservato, costituisce l’infimo esempio di ciò che la furia bestiale degli esseri “umani” riesce a concepire.
La situazione in cui si è svolto l’omicidio di Donato Carretta (eccidio delle Fosse Adreatine era avvenuto il 24 marzo 1944 con la morte di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati) può forse far comprendere le ragioni profonde dell’odio scatenato, ma mai potrà giungere a giustificare siffatte azioni.
Sono concettualmente e profondamente convinto che privare chicchessia della vita sia cosa aberrante e, nei casi in cui la persona abbia commesso un delitto, debba essere giudicata da una corte penale, con estrema severità e punito con il massimo della pena stabilita.
La cosiddetta “giustizia sommaria” in cui l’individuo viene emotivamente sottoposto a processo sommario e giustiziato, indipendentemente dal/i reato/i commesso/i non è azione che possa entrare nel novero della giustizia.

Il fermo immagine della fine di Donato Carretta.

L’orrendo f. i. della fine di Donato Carretta il cui corpo privo di vita fu appeso alle sbarre di Regina Coeli.

Più di uno storico si è domandato cosa abbia provocato questo orrendo crimine.

“Chi ama la libertà non può accettare che un uomo venga linciato e straziato in quel modo, senza un capo d’accusa, un processo, la possibilità di difendersi. Questo lo fanno i dittatori e i regimi. Il linciaggio di Carretta è quanto di più lontano dagli ideali e dalle regole della democrazia.» (W.Veltroni “La condanna” ed Rizzoli”)

L’intera tragica sequenza fu filmata dal Psychological Warfare Branch, con quattro operatori ed il coordinamento delle riprese fu opera di Luchino Visconti, il mostro sacro del cinema italiano.

Attraverso immagini crude, più spesso agghiaccianti che hanno mostrato al mondo le operazioni di riesumazione dei cadaveri delle 335 vittime innocenti massacrate alle Fosse Ardeatine; hanno ricordato il processo e la fucilazione del torturatore fascista Pietro Koch e del questore di Roma Pietro Caruso;  nonchè le prime, drammatiche fasi del linciaggio di Donato Carretta, Direttore del Carcere di Regina Coeli, sarebbe dovuta scaturire, nelle intenzioni degli autori, la testimonianza definitiva della lotta partigiana contro il regime nazifascista.

Donato Carretta nacque a Lavello (prov. Potenza) il 9 febbraio 1891 – i suoi primi scritti penitenziari documentati risalgono al periodo del 16 agosto 1932, Donato Carretta aveva 41 anni e rispondeva, da Direttore del Carcere dell’Asinara, al Ministero di Grazia e Giustizia esponendo, con dovizia di particolari. la situazione edilizia in cui l’isola versava.

Nel 1930 la provenienza dei reclusi era rappresentata
– per il 61% da soggetti originari del sud Italia,
– il 29% proveniva dal nord e il 10% dal centro della Penisola’*.
I mestieri svolti prima di aver commesso il reato erano:
– contadino (53%),
– pastore (11%),
– bracciante (5%),
– muratore (12%),
– panettiere (5%),
– commerciante (4%)
– altre professioni (10%).
Il 76% dei detenuti aveva un’istruzione primaria, il 2% era in possesso di «istruzione superiore», il 4% era in grado di firmare, il 18% era analfabeta.
I reati più rappresentati erano
– furto (52%),
– seguito da violenza sessuale (14%),
– omicidio (12%),
– truffa (8%),
– associazione a delinquere (6%),
– “spendita di monete false”(4%)
– rapina (3%)
– procurato aborto (1%).

Il Direttore Carretta proseguì la sua carriera amministrativa anche durante il periodo fascista. Quando la popolazione raccoglieva il ferro delle rotaie dei tram per le fabbriche di cannoni e l’oro delle fedi nunziali per finanziare le operazioni di guerra, Donato Carretta diventava Cavaliere ed era insignito dell’onorificenza del Nastro azzurro concessa, in epoca fascista, a coloro i quali compivano particolari atti di valore a favore del regime, generalmente membri dell’esercito o figure di spicco politico.

Un giornale sardo dell’epoca “L’Isola”, il 4 maggio 1935, pubblicava un trafiletto, di poche righe, relativo alla vita dell’Asinara, in particolare si parlava della “Festa del Lavoro”, trafiletto inviatoci da Stefano Alberto Tedde che ringrazio.

trafiletto della festa del lavoro

Il breve scritto fornisce numerose informazioni sulla vita dell’Asinara.

Innanzi tutto è da sottolineare il titolo della manifestazioone cioè “Festa del Lavoro” e non dei lavoratori.

Onorificenza del periodo fascista.

Onorificenza del periodo fascista.

In Italia la festività del Primo Maggio fu adottata nel 1891, ma in epoca fascista, cioè tra il 1924 e il 1944, la festa del lavoro fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza con il Natale di Roma, assumendo il nome di “Natale di Roma”, “Festa del lavoro”.

Nel 1947 la manifestazione tornò a essere festeggiata il primo maggio quando, a Portella della Ginestra (Sicilia) furono uccise 11 persone in un agguato di cui ancora non sono stati compiutamente definiti i contorni.

“L’Isola” è stato un quotidiano fascista di Sassari, fondato nel 1924, che dal 1939 ebbe anche una pagina giovanile che si sarebbe poi sviluppata in una pubblicazione autonoma denominata “Intervento”.
Dal 1944, caduto il regime, si ebbe un graduale processo di abbandono dell’ideologia fascista del giornale che tuttavia non modificò sostanzialmente la composizione della redazione.
(Nello stesso anno Eugenio Tavolara che, fino a quel momento, aveva svolto saltuariamente l’attività di critico d’arte, aveva iniziato a pubblicare regolarmente). Nel 1947 la testata cessò le pubblicazioni.

(fonte wiki)

Si rammenta che, nel 1930 era stato approvato dal ministro Alfredo Rocco il nuovo Codice Penale e nell’anno successivo il nuovo Codice di Procedura Penale, Il Regio Decreto del 18 giugno 1931, n. 787 determinò il nuovo Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena, specchio dell’ideologia fascista che voleva la vita detentiva basata esclusivamente su lavoro coatto – scuola – religione.

Tra Cala d’Oliva e Cala Reale era ubicata la diramazione ancora chiamata  “Terzo Periodo”, che successivamente diventerà la Diramazione di Trabuccato, suddivisa in quattro locali destinati a dormitori per condannati, una cucina, la mensa per le guardie e l’ufficio del sottocapo.

Sull’isola dell’Asinara la situazione politica, ovviamente, si ripercuoteva sull’ambiente, come abbiamo avuto occasione di esplicitare durante l’esposizione del “Diario di un Maestro Rurale” (racconto in tre parti nello stesso sito).
L’immagine di Giovanni Solero che segue, illustra in modo egregio l’atmosfera che si era venuta a creare nell’isola, è stata scattata a Cala D’Oliva e ritrae il Direttore Donato Carretta insieme a funzionari penitenziari ed il Comandante dell’imbarcazione Francesconi che conducono la nonna di Giovanni, la Signora Grace Jacobs (di origine inglese) fuori dall’isola dell’Asinara.

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COME SI ARRIVA AL TREMENDO LINCIAGGIO

Le cronache dell’epoca ci informano che nel gennaio del 1944 il Direttore Donato Carretta aveva assunto la Direzione del Carcere di Civitavecchia, una struttura che custodiva numerosi antifascisti tra cui Saragat e Pertini e fu lo stesso Carretta a far fuggire i due socialisti dal carcere di Civitavecchia, ma non precisano quando Donato Carretta fu trasferito alla Direzione del Carcere di Regina Coeli.

Quello che segue fu lo svolgimento tragico della giornata del 18 settembre 1944, e la tragedia si compie in una Roma piena di risentimenti e di odio verso i rappresentanti del passato regime fascista, una Roma controllata dagli anglo-americani dove inizia, dopo una serie infinita di rinvii, il primo processo dell’epoca post-fascista che fu quello contro Pietro Caruso, già questore capitolino durante il periodo dell’occupazione tedesca.

Il dibattimento si tiene nell’aula magna della Corte di Cassazione, all’interno del Palazzo di Giustizia, il cosiddetto “Palazzaccio”, in pieno centro cittadino dove sostava anche Donato Carretta in attesa di essere interrogato, come testimone dell’accusa, nel processo a carico dell’ex Questore di Roma Pietro Caruso ritenuto responsabile della carneficina delle “Fosse Ardeatine” per l’elenco dei nominativi forniti a Kappler in aggiunta a quella incredibile, feroce lista di morte che, per bestiale rappresaglia, aggiunse altre vittime innocenti ai morti di via Rasella.

Il processo tardava ad iniziarsi e la folla desiderosa di assistervi irruppe nell’aula gridando lo sdegno per il tempo che si perdeva e chiedendo un’immediata e sommaria giustizia.

Ad un tratto una donna vestita a lutto, che affermava di essere la vedova di uno dei detenuti di Regina Coeli finito sulla lista di Kappler, accusò il Direttore del carcere, lì presente, di aver dato i nomi a Caruso.

Fu un attimo, la folla inferocita si avventò sull’ignaro Direttore Carretta che tramortito a calci e a pugni fu trascinato fuori il Palazzo di Giustizia in Piazza Cavour e disteso sui binari di un tram perché le ruote del mezzo pubblico completassero la macabra opera, decretatagli per furore popolare. Il conduttore del tram, accortosi di quanto stava accadendo, fermò il mezzo e quando notò che alcuni scalmanati stavano tentando di spingere manualmente il tram, inserì il freno a mano per impedire quello scempio.

Quel conduttore, che rispondeva al nome di Angelo Salvatore, fu l’unico a mostrare un barlume di umanità e riuscì a schivare l’ira della folla solo mostrando, mentre si allontanava, la tessera di iscrizione al Partito Comunista.

Donato Carretta fu ripreso esanime, trasportato sul Ponte Umberto I e gettato nelle acque del Tevere, evidentemente il freddo dell’acqua rianimò il Direttore che, annaspando, cercò un appiglio, ma fu nuovamente raggiunto da due esagitati che lo colpirono costringendolo a lasciare la presa, nonostante le precarie condizioni, Carretta tentò di nuotare, ma fu raggiunto da una imbarcazione i cui occupanti con i remi lo colpirono facendolo affogare.

Il corpo fu ripreso dai flutti del Tevere e portato presso l’entrata del Carcere di Regina Coeli alla cui inferriata fu lasciato appeso per i piedi alla vista della moglie e della figlia che avevano un alloggio di servizio all’interno del Carcere.

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L’immagine che precede e stata realizzata inquadrando, dal lato opposto, il ponte da cui fu gettato il Direttore Carretta. La moltitudine di persone che assiste al macabro rituale è impressionante, anche perchè le persone inquadrate nello scatto, sono soltanto quelle assiepate lungo tutto il ponte Umberto I e sulla scala di discesa al Tevere e l’operatore è collocato a livello dell’acqua.
Si possono osservare chiaramente, oltre la miriade di uomini, anche bambini e donne che vogliono assistere all’orrido “spettacolo”.

PERCORSO CARRETTAPer comprendere l’immensità dell’orrore che si è provato alla semplice visione dell’immagine, nella cartina allegata è stato riprodotto il percorso effettuato dal Direttore Donato Carretta contrassegnando con la lettera a) il “Palazzaccio” o Palazzo di Giustizia ora Corte di Cassazione, la lettera b) indica Piazza Cavour ove ci fu il tentativo di far passare il tram sul povero corpo già martoriato, c) è il punto del Ponte Umberto I da cui fu scaraventato in acqua (con la riga rossa sono indicate le persone che assistono).
il punto d) è dove si è collocato l’operatore per lo scatto dell’immagine ed infine il punto e) individua la localizzazione della grata del Carcere Regina Coeli in cui il corpo di Donato Carretta fu appeso a testa in giù.

In molti hanno successivamente scritto saggi e documenti sull’episodio storico del linciaggio di Donato Carretta, i più  saranno però documenti che risentiranno del clima politico post-bellico. Lo farà anche  Federigo Argentieri il 1 novembre 2015 riportando un’intervista a Pierangelo Maurizio, giornalista del TG5 e di Quarto grado, che aveva già scritto un libro sul tema “Roma ’44, i signori del terrore”.
L’intervista cerca di mettere a fuoco i punti oscuri di quell’episodio che probabilmente segnò una svolta nei destini di una parte consistente della Resistenza romana e poi del grande gioco della ricostruzione delle istituzioni e della leadership comunista nell’immediato dopoguerra.

La vera storia di Carretta, spaventosa, è questa: Carretta è il tipico funzionario della Stato che dopo l’8 settembre ha capito chi saranno i vincitori e i vinti e si mette a disposizione del CLN. Il suo filo diretto – ed è lì il suo errore – non è con esponenti comunisti, ma con Alfredo Monaco, che è il medico del carcere ed è uno degli esponenti di maggior spicco del Partito Socialista.

Il Carcere Regiona Coeli di Roma.(foto di repertorio)

Il Carcere Regina Coeli di Roma.(foto di repertorio)

Dall’ottobre 1943 Carretta si mette a disposizione del CLN e in particolare del Partito Socialista, tant’è che è lui a consentire la così detta evasione di due futuri presidenti della repubblica, Saragat e Pertini.
La fuga viene organizzata da Monaco con la moglie e dalla struttura socialista, credo che ci fosse anche Giuseppe Gracceva, comandante militare delle Brigate Matteotti e anticomunista sfegatato.
La vedova Monaco mi raccontò poi come salvarono anche Gracceva, quando fu preso dai nazisti, facendolo scappare grazie alla complicità della famiglia Carretta.
Insomma, dalle testimonianze di Monaco viene fuori il ruolo decisivo di Carretta: contribuisce a far scappare Pertini, Saragat e altri cinque socialisti grazie a dei falsi fogli di scarcerazioni.
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18 Settembre 2024

Nell’81° anniversario della morte del Direttore della C.R. Regina Coeli, alla presenza, del Ministro della Giustizia Nordio, dei vertici della Suprema Corte – Margherita Cassano, Prima Presidente, Luigi Salvato, Procuratore generale, Stefano Mogini, Segretario Generale -, del vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, del Comandante Generale dei Carabinieri, Teo Luzi, del Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e dei nipoti di Carretta si è tenuta la cerimonia di scopertura della lapide dedicata al Direttore Donato Carretta.

Il  Ministero della Giustizia ha scritto:
Donato Carretta, direttore del carcere dell’Asinara, di quello di Civitavecchia e, fino alla Liberazione, dell’istituto romano, fu vittima di linciaggio da parte della folla che era arrivata al Palazzo di giustizia romano per il processo a carico di Pietro Caruso, ex questore, accusato di complicità in decine di omicidi di matrice fascista.
Era stato chiamato a testimoniare contro l’imputato, Carretta fu linciato dalla folla inferocita, che non sapeva neanche chi fosse, fu gettato nel Tevere e ripescato per essere poi appeso a testa in giù fuori dal carcere.

Nessuno si mosse per salvarlo, se non il tranviere Angelo Salvatori che si rifiutò di investirlo sui binari.”

La Presidente Margherita Cassano ha affermato: “La targa commemorativa di Donato Carretta per questa comunità di giuristi che opera all’interno della Corte, vuole essere un monito.
Un richiamo alla riaffermazione dello Stato di diritto, della razionalità e del rispetto rigoroso delle regole sancite dalla nostra Carta Costituzionale, a fronte dei pericoli che sono insiti nell’emotività e nella cieca furia della folla”.

 

 

 

 

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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