Settantacinque anni per un testo di cacciatori appare un bel record! E questo libro dal titolo: “A CACCIA” possiede oltre la rarità anche un’altra particolarità, è infatti il primo testo di caccia che io abbia letto, sia pure parzialmente.
Nella nostra pagina fb degli “affetti dal mal d’Asinara“, non moltissimo tempo fa, (ottobre 2020) è comparso un post in cui la Sig.ra Fiorenza Furìa narrava accadimenti verificati sull’isola in tempi, che potremmo dire antidiluviani, visto il ritmo con cui le cose accadono ai giorni nostri.
Si parlava delle battute di caccia delle Principesse Jolanda e Mafalda di Savoia, e l’occasione è stata offerta da una bellissima immagine antica di Enzo Cossu, raffigurante un nutrito gruppo di caccia a Tumbarinu ove, tra gli altri, figurano le principesse reali.
Avevo, in quella occasione, ripreso un post di Leonardo Delogu dell’anno 2000 in cui la Sig.ra Fiorenza Furìa, aveva testimoniato, al quotidiano “La Nuova Sardegna”, la presenza di Jolanda e Mafalda all’Asinara.
La Signora Fiorenza, interpellata espressamente, mi ha fornito gentilmente le indicazioni per l’acquisto del libro che, essendo stato pubblicato nel 1944 dalla casa editrice Signorelli di Roma, ormai non era più in commercio e neppure rintracciabile tra gli bibliofili più accaniti.
Cercavo il libro poiché l’autore, Pietro Pediconi, evidentemente un cacciatore appassionato, aveva riportato, come appresso vedremo, le battute di caccia, i carnieri che negli anni erano stati ottenuti e, sopratutto, aveva descritto lo stato dei luoghi attraversati.
La Signora Fiorenza mi ha inviato le immagini delle pagine relative all’isola dell’Asinara.
L’immagine posta in evidenza, in questo articolo, raffigura la copertina originale del libro di Pietro Pediconi, nonché la seconda di copertina e, nel corso dell’articolo, avremo modi di visionare ulteriori immagini tratte dal libro.
In calce, a questo breve contributo, sarà riportata la fedele trascrizione delle sedici pagine che trattano espressamente dell’isola dell’Asinara, così da consentire, a chi ne avesse la necessità, o il desiderio, di leggere direttamente le parole del cacciatore, noi estrapoleremo le notizie interessanti la flora, la fauna, i luoghi e le persone che vivevano all’epoca all’Asinara.
Ed iniziamo col raccontare, sia pure brevemente, la storia del papà della Signora Fiorenza, l’Agente di Custodia Celestino Furìa nato il 22 agosto 1902, arruolato e poi raffermato dal 16 luglio 1933 e divenuto “Guardia a cavallo” dal 1° febbraio dello stesso anno di rafferma (all. Bollettino Ufficiale M.G.G.).
Celestino Furia percorse, nell’arco della sua vita, tutta la carriera militare (all’epoca il Corpo degli AA.CC. era militare) fino a raggiungere il grado di maresciallo e, una volta trasferito dall’Asinara, assunse la titolarità della custodia nel Carcere di Alghero, città in cui morì il 05 luglio 1994.
Come spessissimo accadeva all’Asinara, gli agenti in servizio incontravano le ragazze che vivevano sull’isola e complici le atmosfere idilliache dell’isola, intessevano con queste, furtivi rapporti amorosi che, il più delle volte, sfociavano nel matrimonio.
Ho utilizzato il termine “furtivo” poichè l’agente di custodia, come da Regolamento del 1891, poteva celebrare matrimonio:
– solo dopo aver ottenuto il rilascio dell’autorizzazione del Ministero dell’Interno;
– non prima dell’ottavo anno di servizio;
– solo dopo aver dimostrato di possedere un capitale di almeno tremila lire.
Successivamente, ulteriori modifiche, aggiunsero il limite minimo d’età fissandolo a 30 anni.
Sull’isola, nella Casa di Lavoro all’Aperto diretta dal pluricitato Direttore Donato Carretta, operava all’epoca nei ruoli civili anche Costantino Cuccuru, con la qualifica di “addetto all’agricoltura” che aveva con se la famiglia in cui spiccava, per la sua simpatia la figlia Filomena, che incontrò la guardia a cavallo Celestino Furia e se ne innamorò perdutamente sino a sposarlo.
Dall’unione nacquero all’Asinara quattro figli Ireneo, Ugo Graziella e Fiorenza la Signora che, assieme a Graziella ha concesso le immagini inserite in questo articolo.
Il testo di Pietro Pediconi cita, più volte espressamente, la guardia Celestino Furia che era stato assegnato ad accompagnare il gruppo composto da cinque persone, Pietro Pediconi, Francesco Haass, col fratello Guglielmo, da Federico Santovetti e Giuseppe Cartoni.
… un sardo al 100%, guardia carceraria del luogo, messo a nostra disposizione dalla direzione, appassionato, bravo e praticissimo cacciatore, assai affezionato agli Haass e che si rivelò anche in seguito a noi devotissimo.
ed in altro punto l’autore del libro continua a descrivere Celestino Furìa:
Era assai difficile che la lepre sfuggisse al nostro accompagnatore Celestino Furia, che insieme con il suo fido e vecchio cane spinone chiamato “Perché” aveva una spiccata passione per la caccia del piccolo orecchiuto rosicchiante! Ed infatti una volta individuatolo e avvertitolo ai compagni: “La lepre la lepre!” il buon Furia saltava come un camoscio di pietra in pietra per meglio scoprire il terreno e per meglio poter sparare tra cespuglio e cespuglio la sua fucilata, che difficilmente falliva! Ed allora era veramente soddisfatto e trionfante!
Egli alla lepre assolutamente non perdonava, mentre si alzava un volo di pernici, si affrettava a chiamarci perché ci recassimo abbatterle. Ma guai a quella lepre che passava sui suoi passi!
All’epoca (anni 1930) non era stato immesso nell’isola il cinghiale e la fauna selvatica di piccola taglia tipo pernici, e lepri abbondavano.
La tab 1 evidenzia le catture effettuate dai cacciatori nel corso di un quadriennio e c’è da sottolineare che non era questa l’unica compagnia di seguaci della dea Diana, che riceveva dal Ministero, l’autorizzazione a cacciare nell’isola.
L’autore del libro addebita il calo della selvaggina all’incremento numerico (dice “decuplicato”) dei detenuti:
… il quale ha fatto sì che fossero non solo aumentati i mezzi insidiosi di aucupio[1] della pernice ma che fossero aumentati altresì distrutti, specialmente nel periodo degli allevamenti, i migliori suoi rifugi per le nidificazioni mediante gli intensificati disboscamenti delle varie zone per incrementare le lavorazioni e le coltivazioni agricole nell’interesse dell’aumentata colonia. Ed ora non so, dopo gli avvenimenti dell’attuale guerra, che certamente hanno aumentato le distruzioni, a che cosa si sia ridotta la caccia nell’isola.
I LUOGHI DEL CUORE – Cala d’Oliva
Pietro Pediconi descrive tutto il suo viaggio e racconta il suo arrivo a Cala d’Oliva ricordando due evenienze, la prima il viaggio di traghettamento via mare, effettuato con quello che definisce un “primitivo rimorchiatore” condotto dalle esperte mani del buon Francesconi (foto a lato), un viaggio che durò ben due ore prima di approdare al paesello.
Ma lascio allo scritto del cacciatore la descrizione dei luoghi :
A Cala d’Oliva l’accoglienza fu cordiale ed ospitale da parte del personale addetto all’amministrazione del Penitenziario e specialmente da parte del direttore Cav. Carretta,[2] uomo severo ed autoritario, vero tipo di funzionario nel pieno esercizio delle sue funzioni, che cortesemente ci introitò nella semplice, comoda e accogliente palazzina, adibita foresteria, ed ove era il nostro alloggio.
Nel resto della piccolissima borgata, ovunque si volgeva lo sguardo, non si vedevano che guardie carcerarie e detenuti, molti più i secondi che non le prime, tutti nella loro caratteristica uniforme a righe da galeotti e adibiti ai vari servizi della colonia, la quale a cala d’oliva non era costituita che dalla palazzina che ci ospitava, da quella dell’amministrazione con l’abitazione del Direttore ed altre piccole casette per l’abitazione del personale civile e delle guardie, da una chiesuola ed alcuni altri piccoli edifici adibiti a pubblici esercizi.
In questo passo Pietro Pediconi ci mostra un paesello, quello di Cala d’Oliva, completamente differente rispetto a quello cui il personale, che vi ha vissuto in anni recenti, era solito a osservare.
I detenuti vestivano la divisa a righe che l’autore definisce dei “galeotti”, ma lascia trasparire una accennata considerazione positiva, quella della operosità di tutti coloro che abitavano il piccolo borgo marinaro.
Il paesello all’inizio del 1900 era costituito dalle abitazioni in cui venivano custoditi i detenuti, una specie di “CARCERE DIFFUSO” (del tipo ancora oggi esistente solo nell’isola di Gorgona – Arcip. Toscano) e dalle abitazioni delle guardie carcerarie, fatta eccezione per la Chiesa[3] e di altri piccoli edifici adibiti a pubblici esercizi.
Alcuni definizioni delle località isolane non paiono corrette, in particolare la località di Elighe Mannu che è ripetutamente definita “Eligmanu” probabilmente a causa della errata traduzione del toponimo originario.
LE PERSONE
Riferisce l’autore, che premette di astenersi:
… poi dal descrivere tutti i vari tipi di detenuti con i quali avevamo occasione giornaliera di avere il contatto perché a cominciare dal cameriere e dal cuoco del nostro ospitale alloggio, a finire all’autista del camion e ai portatori di cartucce e di selvaggina che ci seguivano a caccia, erano tutti detenuti chi per omicidio, chi per furto e chi perfino per parricidio! Tutti i giovani però che nel Penitenziario tenevano ottima condotta e che appunto per questo loro provato contegno erano adibiti a servizi di questo genere, ma tutti indistintamente disgraziati individui caduti, chi per una ragione chi per l’altra, nel baratro del più triste disordine morale!
La lettura del testo consente di rilevare che, per la caccia, l’Amministrazione si serviva di un alto numero di detenuti tra cui:
– cameriere
– cuoco
– autista del mezzo di trasporto
– più portatori di cartucce
– più portatori di selvaggina.
Fino al 1957 si ricordi che in Italia era presente il lavoro (forzato) dei detenuti, lavoro che fu utilizzato per bonificare tutti quei luoghi sperduti e deserti, spesso malsani, in cui la permanenza dell’uomo e la sua conseguente attività produttiva si era rivelata difficoltosa, se non impossibile (zone paludose, acquitrinose, malariche etc etc) e, sopratutto antieconomica.
Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato del 1957.
Avendo deciso che tali proposte assumano la forma di una convenzione internazionale, adotta, oggi venticinque giugno millenovecentocinquantasette, la seguente convenzione, che sarà denominata Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato, 1957.
Articolo 1
Ogni Stato membro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che ratifichi la presente convenzione si impegna ad abolire il lavoro forzato od obbligatorio e a non ricorrervi sotto alcuna forma :
a) come misura di coercizione o di educazione politica o quale sanzione nei riguardi di persone che hanno o esprimono certe opinioni politiche o manifestano la loro opposizione ideologica all’ordine politico, sociale ed economico costituito ;
b) come metodo di mobilitazione o di utilizzazione della manodopera a fini di sviluppo economico ;
c) come misura di disciplina del lavoro ;
d) come misura di discriminazione razziale, sociale, nazionale o religiosa.
Articolo 2
Ogni Stato membro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che ratifichi la presente convenzione si impegna a prendere efficaci misure per l’abolizione immediata e completa del lavoro forzato od obbligatorio quale è descritto all’art. 1 della presente convenzione.
….. omissis.
Nel diritto italiano, dal 1866 in poi, l’istituto del “lavoro forzato è soppresso”.
Nel codice penale del 1889 e nel codice del 1930, ora vigente, il lavoro, in conformità alle idee largamente applicate dal legislatore di curare il riadattamento sociale del reo in espiazione di pena, il lavoro viene utilizzato quale complemento della pena afflittiva, ma distinto nettamente da essa.
Estratto libro di P.Pediconi “A CACCIA” L’estratto del libro
Al termine di questo escursus venatorio vorrei concludere tornando al punto di partenza, cioè al ricordo della Guardia a Cavallo Celestino Furìa esponendo un’immagine che, nel confermare l’affetto delle figlie, lo colloca nell’album dei ricordi della bellissima isola dell’Asinara.
[1] L’aucupio è una tecnica di caccia agli uccelli di piccole dimensioni mediante l’uso di trappole di varia natura.
[2] Donato Carretta Direttore della Casa di Lavoro all’Aperto
[3] Chiesa dell’Immacolata Concezione di Cala d’Oliva